A chi mi affido: Da chi dipendo per cosa?

A chi mi affido: Da chi dipendo per cosa?

Oggi voglio pubblicare un’ interessante articolo trovato in internet che riporta un’intervista a George Kelly, lo psicologo statunitense che postulò, negli anni ’50, la teoria dei costrutti personali alla quale io mi ispiro nel mio lavoro di psicologa e di psicoterapeuta, che svolgo nel mio studio a Brescia.

A chi mi affido: da chi dipendo per cosa?

E’ questa una domanda che spesso i clinici si sono sentiti fare da persone che, per opposti motivi, ritenevano “nevrotici” o “paranoidi”. Quello che però interessa capire è il significato di tale domanda per la persona e la natura dell’esperienza che si configura chiedendosi ciò.

Il punto di partenza è il contesto in cui si trova la persona: un mondo socialmente complesso per il quale è psicologicamente impreparata. Esistono due spiegazioni comuni di come ciò sia accaduto. La prima è la tesi di “Frankenstein”: lo sviluppo materiale ha superato il progresso sociale. L’altra è quella del “bambino nella foresta”: la complessità della società è superiore alle capacità psicologiche di un animale che solo da poco si è evoluto da una fase primitiva.

Analizziamo queste due tesi prima di procedere lungo la linea alternativa che propongo. Lo squilibrio tra progresso sociale e materiale è la causa dei nostri problemi? Non credo. Anzi, lo sviluppo materialistico costituisce esso stesso un progresso sociale al pari dell’accumulazione di benessere e di beni. E’ la particolare forma sociale di questa società materialistica che è posta in discussione. La struttura sociale e la prospettiva psicologica costituiscono le premesse piuttosto che i risultati di tale società, senza i quali né il benessere né i beni dovrebbero costituire una minaccia. Esistono, inoltre, altri assunti ugualmente criticabili su cui si fondano le società.

Per quanto riguarda la seconda tesi, quella dell’uomo ancora troppo scimmia per gestire la civilizzazione, anch’essa io credo sia un artefatto. La primitività, più che un tratto vestigiale di un passato lontano, rappresenta il caposaldo di una psicologia distorta dal suo uso quotidiano. Questa versione della psicologia, in cui io e voi siamo cresciuti, ci rappresenta come bestie interessate al cibo e al sesso oppure distolte dal nostro naturale stato di inerzia da condotte o dinamiche. L’approccio a tali organismi – ho difficoltà a definirle “persone”- è quello di una psicologia derivante dal modello fisiologico del Diciannovesimo Secolo. Il risultato sociale di tale scientismo ha portato ad un approccio manipolativo delle relazioni interpersonali che caratterizza e rende inumana la nostra cultura.

La nostra tesi, in contrasto con questi due cliché popolari, non sostiene che il mondo è più semplice di quanto sembri. Se così fosse, anche l’uomo sarebbe potuto rimanere semplice, senza il bisogno di maggiore comprensione psicologica di quella che aveva in epoche precedenti.

Ma è evidente che il mondo non è affatto semplice. Così come è altrettanto evidente che l’uomo non lo gestisce come dovrebbe.

LA SOCIETÀ DIPENDENTE

La società del Ventesimo Secolo è complicata e difficile da capire, ma ciò che è più importante è che in essa ogni persona si ritrova a dipendere da molte e frammentarie fonti. L’uomo civilizzato possiede un intricato sistema sociale di dipendenze. Egli deve analizzare e frazionare continuamente i suoi bisogni personali per collocarli appropriatamente in questo sistema. La persona dalla quale dipende per una cosa non è la stessa su cui può contare per un’altra. Inoltre, essa deve essere consapevole di ciò che può offrire in cambio agli altri se vuole mantenere in funzione il suo repertorio personale di reciproche offerte e richieste, altrimenti verrà visto come eccessivamente “dipendente” rischiando di diventare una persona veramente sola.

La rete di dipendenza è anche così complessa che raramente due partners si trovano così bene da soddisfare ognuno le necessità dell’altro. Più comunemente, la dipendenza reciproca si spezza, lasciando uno dei due aggrappato e pieno di desiderio mentre l’altro è irrequieto ed impaziente. Dove uno si impegna, l’altro cerca di scappare, e mentre uno prova a disimpegnarsi, l’altro prova a soddisfare disperatamente la sua dipendenza inesaudita.

In questo senso, l’uomo civilizzato è un uomo molto dipendente. Non solo le sue fonti di sostegno sono complesse e i servizi che rende agli altri, specializzati, ma spesso la sua lista è voluminosa e spesso illeggibile. I semplici piaceri e le ovvie necessità della generazione precedente non sono più sufficienti. Così non solo è impegnato a differenziare e sistemare le sue dipendenze in un complicato sistema di reciproche relazioni, ma cerca di ottenere un mucchio di cose a cui i suoi nonni erano troppo occupati per pensare.

Il punto cui voglio arrivare è che l’uomo moderno è particolarmente dipendente, trova difficile dare una sistemazione alle sue dipendenze su una base di reciprocità e spesso è solo; non la solitudine di chi non ha amici, ma quella di chi non può raggiungere gli amici che ha.

Gli adulti sono più dipendenti dei bambini

E’ luogo comune sostenere che un bambino è “dipendente” mentre l’adulto è “indipendente”. Ma questo è fuorviante. Sicuramente il bambino non si può prendere cura di sé stesso, ma questo neanche l’adulto può farlo. Egli appare poter fare affidamento su sé stesso solo perchè spesso è più capace di distribuire le sue dipendenze in maniera più appropriata alle potenziali risorse.

Ma quanti adulti potrebbero sopravvivere con ciò che è sufficiente a un bambino? La capacità di amare e la semplicità delle sue richieste lo mettono in una più sicura posizione. Egli inoltre è più libero di esprimersi, di pensare in maniera autonoma e di fare ricorso ai suoi giochi immaginativi per esplorare il mondo. Non ha il potere che hanno i suoi genitori, ma spesso è più indipendente.

Quella descritta non è la natura elementare dell’uomo; è un’invenzione psicologica particolare cucinata per lui e nella quale il povero individuo cerca di sopravvivere. Il potere senza l’immaginazione è diventato il criterio del cittadino “maturo”.

Leadership sociale e iniziativa sociale non sono sinonimi.

Scambiare l’indipendenza con il potere è ciò che caratterizza questa società. L’immaginazione senza potere è forse poco incisiva nel determinare cambiamenti; questo è vero. Però il potere senza immaginazione è peggio: è tirannia.

Dipendenza come problema in psicoterapia

In ogni psicoterapia arriva il momento in cui il terapeuta prova a far agire il cliente in modo indipendente e responsabile. E’ la fase che in termini psicoanalitici si definisce analisi del transfert . La si può definire in altro modo, ma generalmente si è d’accordo sulla natura dei fenomeni comportamentali che si osservano.

Spesso osserviamo che il cliente cambia solo nella stanza della terapia o richiede la continua presenza del suo terapeuta. Il terapeuta inesperto allora prova a forzare il cliente. Nelle terapie analitiche il cliente si confronta con la sua dipendenza infantile; una dipendenza che viene all’inizio della terapia accettata nel transfert, ma che successivamente viene vista dal terapeuta come l’evidenza della incapacità del cliente di essere aiutato. E’ in questa fase che spesso il cliente manifesta ostilità nei confronti del terapeuta. Emergono comportamenti di iniziale acting-out e spesso compare il panico.

In altri termini, il cliente si sente minacciato dal sentirsi esposto alla sua dipendenza, una dipendenza che non solo non è degna dell’adulto che cerca di essere, ma che lo fa sentire permanentemente impotente. A questa sensazione spesso è associato il panico, che si presenta quando il cliente sente questa profonda dipendenza sia da un’altra persona ma soprattutto dal terapeuta, specie se questo richiama la sua attenzione su ciò. Inoltre, il fenomeno è amplificato dal rendersi conto che il rapporto con questa figura di sostegno è temporaneo, che la dipendenza non è reciproca e che egli non si trova di fronte un amico ma un professionista che ha un coinvolgimento professionale nella relazione. E’ in questo momento che entra nel panico.

E’ il caso del cliente che non trova nessuno realmente interessato a lui, eccetto il suo terapeuta che viene ritenuto interessato solo perché lo fa di mestiere.

Che tragedia scoprire allora che il tuo migliore amico è uno psicologo!

Ma perché è così disturbante essere dipendente dal proprio terapeuta?

Oppure perchè questo fatto dovrebbe essere più importante dei tanti errori commessi nella vita dal cliente?

Per rispondere a queste domande bisogna tornare un attimo alla teoria.

NE’ COGNIZIONE NE’ AFFETTO, NESSUN OSTAGGIO AL CLASSICISMO

Il problema della dipendenza non è nella quantità ma nella differenziazione delle richieste e delle risorse. Il cliente è allarmato dalla quantità di dipendenza trasferita sul suo terapeuta e dalla precarietà della relazione. Ma se questa massiccia dipendenza fosse appropriatamente distribuita egli non si sentirebbe così in trappola. Ma egli non se ne accorge perchè non può, in questa fase, differenziare gli aspetti della sua dipendenza; non la vede come una cosa che può essere divisa, raggiunta per fasi, o essere soddisfatta da svariate fonti.

Ma come è possibile identificare gli oggetti? Secondo la nozione della logica classica gli eventi si presentano distinti gli uni dagli altri e il compito è rimetterli insieme in vario modo. Questo è il processo definito concettualizzazione e i modi per metterli insieme concetti.

Viene spesso supposto che tali concetti non emergono prima della loro simbolizzazione, di solito con l’uso delle parole. La concettualizzazione è, quindi, un processo verbale e le teorie psicologiche che si occupano di tale processo vengono definite teorie cognitive.

Ma gli eventi non si presentano singolarmente, magari annunciando il proprio nome e aspettando di essere collocati in classi. Herbert Spencer vedeva il problema dell’evoluzione come un passaggio da una indefinita e incoerente omogeneità a una definita e coerente eterogeneità .

La cognizione e la concettualizzaione si rivelano inadeguati al compito di mettere ordine nella vita delle persone. Questo è particolarmente evidente quando proviamo ad aiutare un cliente a differenziare e a mettere in ordine le sue dipendenze.

COSTRUZIONE: UNA NUOVA PROSPETTIVA NELLA RICOSTRUZIONE PSICOLOGICA DEGLI EVENTI

Quando una persona traccia una distinzione tra due oggetti, egli si occupa di entrambi gli oggetti; non classifica un oggetto per volta. Distingue tra l’oggetto e gli altri oggetti importanti per la distinzione; quelli non rilevanti non fanno psicologicamente parte del contesto.

Nel compiere distinzioni, sia tra oggetti esterni che tra esperienze interne, due funzioni intervengono simultaneamente: gli oggetti nel proprio campo di attenzione sono separati e collegati ad altri oggetti . L’atto psicologico è però unico; non è possibile una cosa senza l’altra. Questa è la chiave della comprensione dei processi psicologici dell’uomo.

Il processo psicologico descritto non è definibile come “concettualizzazione” ma come costruzione o formazione di costrutti personali; il costrutto non è il concetto.

I costrutti possono essere preverbali e, così come per la coscienza, una persona può incontrare notevoli difficoltà nel rappresentarseli. La costruzione non è né cognitiva né affettiva, termini poco utili per lo psicologo.

Tornando alla clinica, questo processo psicologico della costruzione – in modo particolare la costruzione preverbale – si osserva in modo caratteristico quando il cliente tenta di dare senso ad alcune esperienze.

IL COSTRUTTO PERSONALE COME DIMENSIONE DI LIBERTA’ NELL’INTERAZIONE UMANA

Torniamo alla differenziazione e distribuzione della dipendenza. La dipendenza va affrontata con la costruzione, non con la concettualizzazione.

Non si tratta di un processo formalizzato che consiste nel fare questo con quello e qualcos’altro con l’altro .; raramente è così semplice affrontare la dipendenza.

La psicoterapia nella sua forma più semplice consiste nel muoversi avanti e indietro nel sistema di costrutti. Una possibilità più ambiziosa consiste nel rimpiazzare i costrutti nucleari del cliente.

“SLOT-RATTLING”* TRA DIPENDENZA E INDIPENDENZA

Il costrutto dipendenza vs. indipendenza costituisce un’asse importante nella vita di molte persone. Chi si vede troppo dipendente cercherà di agire in modo indipendente.

I terapeuti purtroppo vedono spesso le cose negli stessi termini. Essi vedono la dipendenza come conseguenza del transfert – e in parte è così – e credono che se il transfert va avanti, così sarà anche per la dipendenza.

In ogni caso, in questa fase della relazione terapeutica si avranno molti movimenti impulsivi di “slot-rattling”. Questo dipende dalla costruzione alternativa alla dipendenza del cliente, e a volte anche da quella del terapeuta.

Ma il problema può essere affrontato in modo differente. La civiltà e l’età adulta sono caratterizzate da una grande quantità di dipendenza. Il problema è costruire la dipendenza in modo differenziale, e identificare e distinguere le fonti che possono soddisfare tali dipendenze. Per quanto difficile sia incrociare richieste e risorse complesse, perfino dopo averle identificate, questo rimane uno dei compiti fondamentali della psicoterapia.

*riferibile al rumore della moneta inserita nelle slot – machines e al condizionamento che essa produce sul giocatore accanito

ECONOMIA DELLA DIPENDENZA

Se si potessero monetizzare le proprie dipendenze ognuno potrebbe ottenere ciò che desidera: basta comprarlo. Questa idea non è affatto nuova, ma non porterebbe lontano.

Così come è importante differenziare le proprie dipendenze, è altrettanto importante differenziare quelle delle persone da cui si dipende. Comprendere le dipendenze degli altri è un compito che richiede costruzione .

Esistono differenze tra i due compiti. Le proprie costruzioni preverbali giocano un ruolo meno ovvio nel differenziare le dipendenze altrui, sebbene esse siano coinvolte ad un certo livello, come sanno i terapeuti più sensibili. D’altra parte il compito è reso difficile dal tipo di training psicologico che molti di noi hanno.

IL PENSIERO DETERMINISTICO COME OSTACOLO ALLA COMPRENSIONE

Il determinismo scientifico stabilisce che un evento conduce ad un altro. Applicato agli affari umani questo significa che gli antecedenti sono necessari e sufficienti per rendere gli eventi prevedibili. Applicato alla psicologia significa cercare lo stimolo che spieghi la risposta.

Ma quanto bene funziona questo sistema?

Se la psicologia prevalente non fosse quella dello stimolo-risposta ma una interessata a come la persona costruisce il mondo, e in modo particolare a come essa costruisce gli altri, che differenza ci sarebbe?

Innanzitutto, sarebbe buona norma identificare i livelli di costruzione. Il primo si occuperebbe degli eventi e delle persone trattate come eventi. Posso costruire il comportamento dell’uomo piuttosto che le sue prospettive; ma questo è solo il primo livello di costruzione.

Esiste un secondo livello. Questo si occuperebbe di costruire le costruzioni degli altri. Invece di dare il nostro senso a ciò che gli altri fanno, proviamo a capire che senso ha per loro quello che fanno.

LA COSTRUZIONE COME BASE PER L’INTERDIPENDENZA

E’ questo secondo livello che ci permette di affrontare reciprocamente la dipendenza. I problemi nascono quando si impiega una psicologia interessata ad ottenere ciò che uno vuole dall’altro senza occuparsi delle prospettive dell’altro. Se non c’è reciprocità diventa una semplice transazione in cui ogni persona cerca di dare dall’altro ciò che egli dice di volere senza provare a comprendere come è arrivato ad avere un tale bisogno .

Applichiamo ora il secondo livello di costruzione alle relazioni interpersonali. Più importante della transazione o dello scambio sarebbe la cornice di comprensione in cui ciò avviene. Perfino se una persona non ottiene ciò che chiede all’altro, il fatto che la sua prospettiva sia compresa dall’altro, che l’altro possa vedere come è arrivato ad avere tali bisogni e possa condividerli, dallo stesso punto di vista, tutto ciò fornisce una maggiore sicurezza nella relazione di dipendenza dell’ottenere semplicemente ciò che si chiede.

E’ SOLO UN PROBLEMA DI SPECIALIZZAZIONE DELLA SOCIETA’?

La nostra società è diventata un vasto complesso di servizi specializzati. Ogni persona gioca una piccola parte nel fornire tali servizi.

Ma se passiamo dai servizi che una persona offre ai bisogni che ha, allora vediamo che quello che uno chiede è ampio, complesso ed indifferenziato mentre quello che uno offre in cambio è circoscritto, concreto e specifico.

Parte della soluzione risiede nella riconsiderazione del problema della dipendenza dell’uomo. Se invece di provare ad essere “indipendente” egli differenzia i suoi bisogni costruendoli, così da sostituire vaghe aspettative con obiettivi specifici, avrà maggiori possibilità di distribuire le sue dipendenze in modo appropriato.

CONCLUSIONE DI UN DISCORSO NON PSICOLOGISTA

A chi mi affido? Da chi dipendo per cosa? Ho provato a rispondere a queste domande nei termini posti dall’attuale società che irrealisticamente vede nella semplice indipendenza la soluzione a tutti i problemi della dipendenza personale, e che fallisce nel riconoscere la necessità di una psicologia che accetti la dipendenza e cerchi i modi per distribuirla. Una tale psicologia è basata sulla costruzione, niente a che vedere con la cognizione. Inoltre, in una società in cui l’attenzione psicologica è rivolta alla comprensione delle prospettive piuttosto che alla manipolazione dei comportamenti, dovrebbe ancora essere possibile trovare persone adatte a cui affidarsi e da cui dipendere.

* In whom confide: On whom depend for what? Forth Annual H. Flowerman Memorial Lecture presented to the New York Society of Clinical Psychologists.

Published in B. Maher (Ed.), Clinical Psychology and personality: The selected papers of George A. Kelly (pp. 189-206). New York: Wiley, 1969.

Traduzione di V.Alfano

Maria Leoni è una Dottoressa Psicologa e Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia (individuale e di coppia, adolescenti e sostegno alla genitorialità), Dipendenze, Sessuologia, Ipnosi Eriksoniana e Terapia EMDR.

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